marzo 13 2019 0Comment

Porta Nuova, un paesaggio di Diamanti sulle ceneri di covi, bische e luna park: leggende nel bosco. GAe ha partecipato allo sviluppo

13/03/2019

Avanguardie o nostalgie, storie e spettri nel quartiere dei grattacieli adorato dai turisti e salutato dai milanesi con ammirazione. È l’emblema della Milano che abbraccia passato, presente e futuro. Al centro di questo abbraccio, la Biblioteca degli Alberi

GAe ha partecipato a questo sviluppo e ne cura la sicurezza

Bernardina, dove sei? Se la vedete, chiamate i Ghostbusters. O illuminate la guglia multicolore della Torre Unicredit, quella che cambia le tinte a seconda degli umori milanesi. O date fiato alle 23 trombe ottonate del Garutti, quelle che s’inabissano nel cavedio dell’ingresso Sud. Insomma, fate qualcosa. Perché leggenda vuole che per Porta Nuova vagasse un tempo il fantasma di Bernardina Visconti. E che la sua anima — tragica figlia del Barnabò signore di Milano, lasciata morir di fame per aver osato sposare un villico — cercasse vendetta fra viale Monte Grappa e viale Monte Santo. Che paura, che leyenda negra: vestito di nero, profumato di violetta, fino all’Ottocento narravano che lo spirito dispettoso della fanciulla prendesse sottobraccio i passanti e li facesse perdere. Che fine ha fatto, Bernardina? Ghost (lost) in transition. Svanita anche lei, con la transustanziazione di questa Porta Nuovissima. Evaporata nella fresca e aulentissima piazza Aulenti, che rialzata di sei metri ormai sovrasta piazza del Duomo e piazza Castello insieme: la cartolina del millennio attuale, coi led al posto dei piccioni, i giochi d’acqua suoni & luci da fotografare come se fossero la classica fontana Turta de spus. Questi fantasmi: un quartiere che chiama le sue botteghe «Business District» e le sue trattorie «Food District», che non scende più a pisciare il cane ai giardinetti ma lo eleva al nono piano d’un Wintergarden lamellato di vetro, cosa se ne fa del cuore infranto e dell’ombra immaginaria d’una bella tùsa del Trecento?

Immaginazione al cantiere. Più denari che cuore: mica per nulla, Aldo Giovanni & Giacomo hanno ambientato in corso Como i nuovi ricchi che si contrappongono ai vecchi poveri. Se Piovene diceva che Milano è un’America senza crudeltà, questa downtown è diventata una Dubai senza povertà, oltre che senza petrolio e senza mare. Col Qatar in gola. «Il capolavoro dell’incomunicabilità», scrisse amaro lo scrittore Andrea Pinketts pochi mesi prima di morire: un fumetto giapponese, un manga, «la Milano che cambia senza avvisarmi». Addio case di ringhiera, ciao Isola dei trani à gogo, bye bye trans brasiliani che nelle topaie di via de Castilla condividevano il cesso. «Quej de la goma» (i Pirelli) da qui se n’erano già andati da un pezzo. Ma allo Smeraldo una volta s’esibivano Bob Dylan e Ray Charles, altro che i cuochi di Oscar Farinetti. E in certi bar — altro che Chiara Ferragni — ci si ricordava ancora di Gino Bramieri e delle sue barzellette. Sotto il Bosco Verticale c’era la più antica sezione socialista: ora fai pochi passi e ci trovi Feltrinelli Red, che non sta per rosso ma per Read-Eat-Dream. Dov’era negli anni Sessanta la pericolante ruota panoramica dei giostrai calabresi, ora svetta sicuro il grattacielo più alto d’Italia. Al posto delle Varesine sterrate, che facevano da set ai film di Luc Merenda genere Milano-trema-la-polizia-risponde e da covo alle bische del boss Epaminonda, adesso c’è la Babilonia delle penthouse da 15mila euro al metro quadro, il verde pensile dei grattacieli più belli del mondo. «Per cinquant’anni siamo stati tutti abusivi — ricorda Amedeo De Vitis, 62 anni, allora giostraio e oggi posteggiatore —. Il toboga, il galeone, l’ottovolante… Non poteva durare. Ma eravamo un’istituzione, il luna park più vecchio. Alle Varesine ci veniva anche Celentano a portare i figli».

Quanti plus, pure ora: Porta Nuova è stato il cantiere più grande d’Europa, pari solo alla Potsdamer Platz berlinese cui s’ispira, ha una torre residenziale (Solaria) che è la più elevata d’Italia e per piazzare la passerella ciclopedonale (la più lunga d’Italia) s’è usata un’enorme gru (la più grande del mondo) in un investimento di riqualificazione urbana nel nostro Paese (due miliardi, duemila operai, 20 archistar da otto Paesi) che è il più grosso degli ultimi vent’anni. Anche la Madonnina s’è dovuta arrendere: una copia dell’originale, l’hanno sistemata al 39simo piano di Palazzo Lombardia, la reggia sprecona che si fece Formigoni, perché tradizione vuole che ce ne sia sempre una a proteggere il punto più alto di Milano. «Avevamo già il Pirellone e ci bastava — ha detto una volta il giornalista Massimo Fini, che abita proprio davanti al nuovo skyline —: questa città non è fatta per imitare le altre». Invece sì: ecco il nostro Weissenhof che i milanesi «eressero sebbene poca volontà ne avessero», per usare il Manzoni su Porta Garibaldi, e soprattutto poco ci credessero. «Sarà solo uno showroom d’architettura», «attenti, la ’ndrangheta ci riciclerà i soldi», «una colata di cemento»: leggi adesso certi articoli allarmati degli anni Zero, poi guardi questa superba modernità che fa a gara con l’Highline di New York, più premiata dei centri direzionali asiatici, e t’accorgi come il mugugno a volte andrebbe zittito. Perfino i ragazzini de Gli Sdraiati di Michele Serra biciclettano nel film per nulla sdraiati, anzi eccitati, in queste vie ripensate dal Pelli, in una strana giungla di grès e lecci, calcestruzzo armato e peri selvatici, dove sui terrazzamenti boschivi volano 1.600 tipi d’insetti, fra i sempreverdi collocati al tramonto e le piante spoglianti piantumate sull’aurora. C’erano una volta la Torre Velasca e la Torre Branca? Aggiornate le guide: oggi i cinesi vengono ad ammirare l’Armonica e il Termosifone, la Torre Diamante e i Diamantini, Torre Solea e Torre Aria, lo Ziggurat di Google e Palazzo Axa, la Biblioteca degli Alberi e il passaggio Alvar Aalto…

A questo punto bisogna fare il punto e mettere dei punti, direbbe il Bruno Munari che arredava spazi e fantasia. Milano è rifatta: e i milanesi? Cercare un Nord per non perdersi, è l’eterna regola di chi esplora il mondo. Vale per le persone come per le città. Ed è verso il suo Nord che continua a marciare questa Grattacielopoli 2019, dopo essersi perduta nella Cretinopoli anni Ottanta e nella Tangentopoli anni Novanta: su, su, il cuore oltre la ferrovia, a ridarsi un orizzonte d’acciaio e di cristallo nel vecchio grigio cemento. La nuova frontiera sarà dal 2020 in avanti. E rifatto il cielo, risistemata la terra, si passerà all’acqua. Per riaprire pure qui, coi soldi Ue, gli antichi Navigli. Altri alberi, più biciclette, nuove passerelle. E vaporetti per i turisti, i lucci a nuotare coi persici reali: il sindaco Sala sogna una piccola Amsterdam, ma il suo incubo sono gli abitanti di Melchiorre Gioia che rinuncino alle auto, i Cinquestelle a un referendum popolare, la Milano del mugugno a boicottare. Di nuovo, molte opposizioni: «È un ritorno al passato«, «inutile», «soldi buttati», «l’acqua stagnante farà male alla salute»… Possibile, magari probabile. Ma s’è già visto che le proteste durano lo spazio d’un weekend e sui vecchi binari, perché un tempo qui passava la linea per Varese, sarà difficile fermare la verde locomotiva della rivoluzione: quando Elio e le Storie Tese ci provarono con l’abbattimento del Bosco di Gioia e col cantiere della nuova Regione, facendo pure una canzone («se ne sono sbattuti il c…o/ ora tirano su un palazzo/ han distrutto il bosco di Gioia/ questi grandissimi figli di tr…»), i tronchi li tagliarono in quattro e quattr’otto a cavallo di Capodanno. Mentre tutti erano a sciare. E con tanti saluti all’ambiente.

L’edilizia green batte la vecchia betoniera. Gli alberi sradicati fan posto a un verde pettinato. È la modernità ecosostenibile, bellezza. Il nuovo che tutto giustifica. In Porta Nuova ci siamo fatti grattacieli che si chiamano Rasoio, piazze che tagliano l’orizzonte, tunnel per auto e treni che fluiscono come sangue nelle arterie: poteva mancarci una modica quantità di giovani così asociali da rasoiarsi le vene? Sotto le nuove torri, in una vecchia casa sopravvissuta, hanno aperto da poco la Cooperativa Hikikomori. Psicoterapeuti che curano gli alienati da megalopoli, hikikomori stile giapponese che si chiudono in casa e al mondo, impauriti dalle città che spersonalizzano. A Milano, ce n’è una cinquantina. Curarli, non è facile. Un giorno li hanno portati fuori a scattare foto: alla Torre Unicredit, al Bosco Verticale. Pallidi come fantasmi. Ma sorridenti: hanno preso il posto di Bernardina, e non si sono persi.

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